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I due gironi dell’attuale A2 di basket hanno davvero un peso specifico diverso l’uno dall’altro? Ne abbiamo parlato con Dario Bocchini, ex General Manager della Pallacanestro Trieste e con un passato importante da dirigente in piazze importanti come Jesi, Imola e Ravenna.

Guardando i roster delle 32 squadre che compongono la serie A2, secondo lei si può parlare di squilibrio tecnico tra gironi?

«Bisogna partire dalla considerazione che il regolamento attuale permette alle squadre di poter cambiare faccia in maniera decisamente importante. Pertanto, ragionando in un’ottica futura, può benissimo accadere che anche chi arriverà all’ottavo posto abbia potenzialmente la possibilità di rafforzarsi sensibilmente: porto un caso emblematico, quello della Dinamo Sassari di Massimo Bernardi che, favoritissima per il salto di categoria, uscì mestamente al primo turno di play-off. Sono comunque dell’idea che la continuità nel lavoro a medio e lungo termine possa risultare la variabile più importante per il salto di qualità».

Se analizziamo ciò che sta accadendo nell’altro girone, è evidente che Casale Monferrato funga un po’ da “Alma” del raggruppamento Ovest: se lo aspettava?

«Il loro ruolino di marcia assomiglia molto a quello di Trieste, oltretutto perché anche a Casale hanno avuto problemi sul lato degli infortuni, con l’aggiunta che il puntare su giovani interessanti come può essere ad esempio il ’98 Denegri stia già dando dei risultati eccellenti. Pur non avendo grosse ambizioni prima dell’inizio del campionato, è una squadra che ricorda molto la mia Jesi allenata da coach Capobianco: anche in quel frangente si partì con la convinzione che potevamo toglierci delle belle soddisfazioni, volando naturalmente molto bassi sugli obiettivi stagionali. E, ricollegandomi sul discorso già citato di come la continuità nel lavoro e nella programmazione pluriennale abbia un peso specifico enorme, credo che Casale non si trovi al primo posto per caso».

Tra Est e Ovest, quali secondo lei sono le sorprese e le delusioni?

«Restando a Ovest, Legnano sta facendo un buon campionato, mentre Biella è squadra solida e costruita sulle fondamenta di quella della scorsa stagione, pur avendo perso Hall ma con l’aggiunta di un carismatico Tim Bowers. Sta deludendo la Virtus Roma che ha già cambiato allenatore, mentre anche Napoli sta facendo molta fatica. Per quanto concerne il raggruppamento dell’Alma, vedo bene Montegranaro, intelligente nell’aver puntato su due giocatori come Corbett e Powell che si conoscevano già alla perfezione dopo l’avventura di Treviso. E restando sulla De’Longhi, la squadra di Pillastrini ha sin qui pagato il prezzo di non essersi sempre espressa a buoni livelli».

Capitolo Rosselli: con il suo arrivo, Bologna diventa davvero la più temibile tra le concorrenti alla promozione?

«Certamente la Fortitudo avrà a disposizione un giocatore intelligente, in grado di spostare gli equilibri anche a livello di spogliatoio. Forse Bologna resta ancora incompleta, avendo tante spiccate individualità come Legion e Mancinelli ma senza un vero ragionatore in cabina di regia, con un McCamey che personalmente non mi ha entusiasmato».

Un giudizio su Trieste?

«Sin qui ha davvero avuto poche rivali, nonostante l’assenza di Bowers. E si è visto come il lavoro atletico del Prof. Paoli sia stato fondamentale per la bontà dei risultati ottenuti: può puntare naturalmente alla promozione, ma se sarà necessario dovrà farsi trovare attenta anche sul fronte mercato. Su questo Gianluca Mauro dovrà avere anche un pizzico di coraggio, magari inserendo in futuro qualche elemento in più senza minare gli equilibri di squadra».

(da “City Sport” di lunedì 4 dicembre 2017)

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Mettiamola così: se il Memorial “Piera Pajetta” – ultima parentesi pre-stagionale prima della Supercoppa LNP – doveva dare un briciolo di conferme all’Alma, un concetto su tutti balza fuori dopo la “due giorni” friulana: la necessità da parte di Trieste di aver dovuto nuovamente ricorrere a una sorta di metamorfosi kafkiana per evitare un esaurimento nervoso, causa l’ennesima tegola sul fronte degli acciacchi (in questo caso, i soli cinque minuti scarsi sul parquet di Janelidze, a riposo forzato per qualche noia alla schiena). Alla fine della fiera, i giuliani escono dal rinnovato “Pala Carnera” con un terzo posto nel torneo e paradossalmente con la consapevolezza di aver ancora una volta stretto i denti senza praticamente mai perdere la bussola: anche così si può crescere di squadra, in barba ai problemi.

“BLACK FRIDAY” A METÀ Non è un caso che il “Pajetta” tinto di biancorosso possa essere trasversalmente diviso in due parti distinte: quella della sconfitta contro la Bondi di venerdì è sicuramente il lato più sbiadito del week-end di gare a Udine, con un’Alma che per quaranta minuti ha corso prevalentemente sulle uova, quasi col timore di non farsi ulteriormente male sul piano fisico e mai realmente capace di cambiare registro in ambito dell’inerzia. Da un Fernandez tornato a essere “umano” e a prendere fiato, non riuscendo di fatto ad orchestrare con la consueta perizia la squadra sul parquet, a un complessivo 33% di realizzazione dal campo che ha denotato la difficoltà di Trieste ad andare a canestro. E – nota curiosa, ma che delinea perfettamente lo stato di emergenza sul piano delle rotazioni – passando anche per un quintetto che definire sperimentale è poco: Prandin, Baldasso, Loschi, Green e Coronica (col capitano biancorosso a fare da “5”) tutti assieme appassionatamente nell’ultimo quarto, è una “configurazione” difficilmente ammirabile e ripetibile in futuro. Con il solo Cittadini a cantare e portare la croce in pitturato (peraltro molto bene, sia con Ferrara che con Forlì), era naturale non aspettarsi un basket-champagne. Ma c’è un punto a favore per i giuliani: l’aver retto l’urto in difesa contro Hall e soci, vincendo la lotta a rimbalzo e chiudendo la contesa con un +30 nella valutazione totale. Una magia? Niente affatto: si è visto tanto spirito di sacrificio che, al netto del match in chiaroscuro, può far brillare gli occhi dello staff tecnico. E tutto questo vale molto di più di una sconfitta di misura, patita peraltro solo nei secondi finali.

I SORRISI POST-FORLÌ Dai “dolori” alle piccole “gioie”: cambiare registro nel giro di 24 ore non è facile per nessuno, figuriamoci per una Trieste come quella attuale che senza Bowers e Da Ros perde parecchi punti di riferimento su entrambi i lati del campo. Eppure l’Alma, nel match di sabato sera contro l’Unieuro dell’ex DiLiegro (a proposito, il centro di Lexington ha messo a posto anche il tiro dalla lunga distanza, oltre alla consueta efficienza in semi-gancio…), fa rispuntare bello come il sole quel fuoco sacro di una squadra che ha tanto orgoglio innato nel proprio DNA. Badate bene: anche in questo caso siamo lontani dalle prestazioni migliori, ma i pezzi del puzzle sparpagliati contro Ferrara si sono uniti in un colpo solo: con Cavaliero che torna ad essere uno dei leader della squadra, assieme al “solito” Green che realizza 21 dei 23 punti negli ultimi venti minuti dopo aver sonnecchiato nel primo tempo e a un Bobo Prandin che – tra serpentine in penetrazione e la buona mano dalla lunga distanza – diventa un rebus per la poco attenta difesa forlivese, ecco come l’intera squadra biancorossa ritrova una piccolissima quadratura del cerchio. Con una chicca annessa: la “2-3 bulgara” in difesa che, seppure solo per qualche azione, può rappresentare qualcosa di assolutamente nuovo nelle logiche di squadra. E che magari un bel giorno potrebbe essere riproposta…

ROAD TO…ALMA ARENA Come va interpretata la prima, vera parentesi di stagione in Supercoppa nel prossimo fine settimana? Una ricetta c’è: quella di onorare la competizione senza la pressione di dover arrivare per forza di cose sino in fondo. Che tradotto non significa necessariamente prendere sottogamba la competizione, ma di vederla invece come una tappa importante di avvicinamento al campionato. Si va in campo sempre per vincere, è palese: ma nell’Alma odierna c’è anche la volontà di costruire l’identità giusta. E l’evento dei prossimi giorni diventa perfetto per scoprire cosa Trieste vuol fare da grande.

(da City Sport, lunedì 18 settembre 2017)

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Dopo la vittoria nel torneo “Alfiero Bettarini” di Lignano , per l’Alma Pallacanestro Trieste è tempo di nuove amichevoli estive: i prossimi impegni in calendario per la formazione allenata da Eugenio Dalmasson saranno targati BSL, nel tradizionale torneo estivo di Grado organizzato da “Piubello Sport” che, nella sua quindicesima edizione, si sposta al palazzo dello sport di Monfalcone (precisamente alla palestra polifunzionale di Via Powell).

Questo il calendario delle partite in programma nel week-end del 9 e 10 settembre 2017:

Sabato 9 settembre 2017

ore 18.00
KK SKRLJEVO – GSA UDINE

ore 20.00
FORTITUDO AGRIGENTO – ALMA TRIESTE

Domenica 10 settembre 2017

ore 18.00
FINALE 3°-4° posto

ore 20.00
FINALE 1°-2° posto

Il costo del biglietto giornaliero – valido per entrambe le partite di giornata – è fissato a 15,00 Euro.

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Dopo il primo scrimmage estivo contro la Bluenergy Codroipo, l’Alma Trieste è attesa nel prossimo week-end al torneo “Alfiero Bettarini”, in programma venerdì 1 e sabato 2 settembre al Palasport di Viale Europa di Lignano Sabbiadoro. Per la formazione di Eugenio Dalmasson, sarà la De’ Longhi Treviso il banco di prova iniziale della manifestazione.

Questo il programma completo, comprensivo degli orari:

Venerdì 1° settembre

Ore 19.00: De’ Longhi Treviso-Alma Trieste

A seguire: Reyer Venezia-GSA Udine

Sabato 2 settembre

Ore 19.00: Finale 3°/4° posto

Ore 21.15: Finale 1°/2° posto

Per quanto riguarda i biglietti d’ingresso, il costo del tagliando unico giornaliero – che vale dunque per entrambe le gare in programma – sarà di 5,00 €, senza alcuna distinzione tra biglietti interi e ridotti: la vendita sarà disponibile presso i botteghini del palasport di Lignano, nei giorni delle gare.

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Il riassunto di due giornate in un unico post: geniale, vero? Quando ci mettiamo a pensare cose nuove, non ci batte nessuno…

Per parlare del venerdì e del sabato al “Trieste Tropics 2017“, giunto al suo giro di boa con la conclusione della prima di due settimane, c’è da dire innanzitutto una cosa. Che questo camp – se non lo avevate ancora capito – è unico nel suo genere. Ok, c’è il Pec (e il gettonatissimo gioco del fantino, accompagnato anche da pernacchie, basterebbe per spiegare quasi tutto). Ma in fin dei conti, diteci dove potete trovare una gara olimpica di carriole (non indichiamo i vincitori, avvalendoci del concetto decoubertiniano che l’importante sia solo partecipare). O l’immancabile sfida con i cinesini in testa, che tutto il mondo ci invidia. Oppure ancora lo speciale “Sarabanda Tropics” in cui, divisi in tre squadra e sotto l’ “incantesimo” della musica sparata a palla da DJ Rambo, le bimbe e i bimbi di Villa Ara hanno provocato un delirio totale sui campi di Monte Cengio. Forse ancor di più di quello dei 220 mila di Modena, presenti al mega-concerto di Vasco…

La magia però – quella vera – è quando anche chi non è stato tra i protagonisti del camp ti fa capire di voler scrivere una pagina all’interno del tuo “guestbook”. Che tradotto, ti porta a riflettere su come i genitori dei nostri piccoli ospiti ci abbiano omaggiato di tantissime cose da mangiare, tra crostate e bomboloni, per un’unica grande festa tutti assieme. Con una sorta di dress code culinario fatto da palme: TANTE palme. DAPPERTUTTO palme, in particolar modo sulle torte. Ecco allora che ci accorgiamo in un istante come la celebre frase del colonnello Hannibal Smith dell’A-Team (“Adoro i piani ben riusciti“) trova strada anche in un piccolo angolo del pianeta Terra. Quello di Villa Ara, dove ci si saluta tutti assieme con un “Tropics Camp…olè!” sulle note del ritornello di “Occidentali’s Karma“. Dove chiunque, sia chi ha concluso qui la sua avventura ma anche tutti coloro che la continueranno per un’altra settimana, sa di essere diventato una persona nuova.

Merito di Sunshine, di chi (come ogni componente del suo staff) ha la cura e la pazienza di far andare sempre tutto nel migliore dei modi. Perché la vita è così, troppo corta per essere sprecata senza almeno un bel sorriso quotidiano. E il “Trieste Tropics” te ne regala a bizzeffe. Forse il più bel regalo che ci si possa immaginare di poter ricevere.

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Con quanta carica emotiva siete arrivati al più bel appuntamento cestistico dell’estate? Presumiamo parecchia, specie se siete stati accaniti frequentatori dell’Alma Arena e di tutto ciò che vi è successo dentro, sino a qualche settimana fa…

Ad ogni modo, riaprire i cancelli di Villa-Ara e ritrovarsi davanti una marea di palme (rigorosamente gonfiabili) significa una sola cosa: che il camp di Andrea Pecile e della sua allegra banda di amici “tropicali” è nuovamente in città. Un primo giorno, quello di lunedì 26 giugno, con la consueta parentesi dedicata alle presentazioni e alla consegna delle divise personalizzate, con qualche piccolissimo partecipante ad emozionarsi addirittura che quella casacca così bella e colorata potrà essere vestita anche un domani, lontano da “Sunshine & friends”. Perché il Trieste Tropics è così: in un modo o nell’altro, ti lega per la vita. E quella maglia, in un modo o nell’altro, diventerà ben presto la tua seconda pelle.

Lo “start” all’edizione 2017 lo dà il buon Lorenzo Giannetti, “Gran Maestro” dei risvegli muscolari e degli esercizi di riscaldamento. Assieme a Stefy e al Pec, i giovani partecipanti hanno iniziato a capire un po’ di regole su come si effettua un buon passaggio a un compagno di squadra, senza così correre il rischio di far volare il pallone giù da Via Monte Cengio. Forse il punto più “alto” del lunedì tropicale è quello dedicato alla suddivisione del gruppone di bimbi in tante squadre dai nomi (anche quest’anno) tutti da ricordare: tra i “Perkins Squad” ai “Ventilator“, sino a passare ai “Morbìn“, ai “Tropicals“, al “Dab Team” e ai più tradizionali “Golden State“, dove più di qualcuno già sogna un giorno di poter segnare dallo spogliatoio come Steph Curry.

Arriva il momento del pranzo: un momento “stellato”, vista la presenza di Raffaele Visciano ai…fornelli. Dimenticate i cibi stantii: con le prelibatezze preparate dallo chef, il “Tropics Camp” diventerà a breve una succursale di Gualtiero Marchesi. E per il dessert, poteva mancare Gelato Marco – con tanto di carretto a quattro ruote motrici – e le sue…taniche di variegato alla Nutella? 

Il relax con le immagini di Michael Jordan, giusto per prendere un po’ di ispirazione dal Re dei Re, i più piccoli a cimentarsi in disegni da sballo sotto le melodie di chi, come Fabio Rovazzi, insegna che tutto sommato c’è sempre una tangenziale a portata di mano dove poter andare a comandare (anche nella vicinissima via Fabio Severo…). E soprattutto, durante una delle tante “partitine” di giornata, c’è qualcuno che vince a fil di serena con un tiro di tabella con il sole in faccia. Un coniglio pescato dal cilindro? Forse sì. Ma il primo, chiaro segnale che al “Tropics Camp” può succedere di tutto. E siamo solamente agli inizi…

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Ci sono partite particolari che restano nella mente dei tifosi. Ce n’è una, tra le tante viste in (quasi) 38 anni di età, che mi permetto di fare mia per tutto quello che seppe regalarmi, a livello di intensità emotiva e di adrenalina: il derby del “lontano” 8 aprile 2001  tra Udine e Trieste rappresentò – per chi scrive queste righe – un’esplosione di sensazioni, che colmarono con la gioia biancorossa di sbancare il “Carnera” forse nella maniera più bella possibile.

Quella del 2000/01 fu una stagione diametralmente opposta per quelle due squadre: una Snaidero col vento in poppa, che arrivava dalla promozione ottenuta nel precedente campionato di A2, nel girone di andata sorprese al PalaTrieste una Telit in difficoltà, tenuta a galla dai 36 punti di Scoonie Penn. Dopo quella sconfitta non si respirava una grandissima aria dalle parti di Via Locchi: per certi versi, fu forse proprio quel rovescio a dare un’ulteriore spinta alla serie di cambiamenti di carattere tecnico che si sarebbero succeduti qualche settimana più tardi.

La brillante Trieste, che riuscì solo qualche mese prima a conquistare i quarti di finale play-off scudetto, era divenuta  pressoché un lontano ricordo per i supporters biancorossi, costretti a soffrire per buona parte del campionato a causa di una situazione difficoltosa sul lato della classifica. L’avventura di Luca Banchi sulla panchina giuliana era ormai agli sgoccioli, si optò – con risultati poi fortunatamente confortanti – alla “cura Pancotto”, affidando al tecnico di Porto S.Giorgio un team in balìa della sua stessa sfiducia. Quella Telit riuscì alla fine della stagione a salvarsi in carrozza, vincendo addirittura a marzo in casa della Kinder Bologna dei vari Ginobili, Jaric e Griffith: ma per certi versi, con un mese di anticipo, più di qualcuno pensava già al “retour match” in Friuli. L’immagine degli arancioni trionfanti sul parquet di Valmaura (e con Teo Alibegovic, ex di turno, a fare il gesto del silenzio alla curva giuliana a fine partita) fungeva – a distanza di un girone – quasi come un blocco di cemento armato sul gozzo: restituire la pariglia alla Snaidero, proprio sul suo campo, era il desiderio che a Trieste si cullava con grande vigorìa. 

Grazie a una amica di Udine, riuscimmo a ottenere dei biglietti-omaggio per il settore centrale del “Carnera”. Eravamo lontani dai tifosi “amici”, tant’è che per quaranta minuti interi diventammo dei veri e propri spettatori…stitici, allo scopo di evitare inutili fastidi con chi ci stava accanto. Ricordo ancora adesso quanta tensione avevo in corpo: in fondo, ci tenevo pure io a uscire da quell’impianto con il sorriso stampato sulle labbra. Non fu una partita bellissima sotto il piano della spettacolarità, con le squadre stesse a fare i conti con pochissima tranquillità interiore (e con percentuali quantomai rivedibili dalla lunga distanza). L’allora Telit trovò grandi soluzioni sotto canestro, con Podestà e Shaw (con quest’ultimo che, dalle nostre parti, viene ricordato solamente per il tiro libero sbagliato senza prendere nemmeno il ferro, proprio nella gara di andata contro Udine…) a ergersi grandi protagonisti in pitturato: Trieste accelerò nel terzo quarto, con la “mano armata” di Gurovic a regalarle il +10 a dieci dal termine. Ma nel cuore di tutti i giuliani presenti quel giorno era grande la consapevolezza di non averlo già chiuso in anticipo, quel match. E l’“aracnofobia” della difesa biancorossa contro il “ragno” Charles Smith, indigesto in entrambe le sfide di quel campionato, portò la Snaidero avanti di un punticino a sette minuti dalla fine.

Stavo per diventare arancione pure io, alla stessa stregua delle tante sciarpette indossate dal pubblico di casa: un piccolo “incubo sportivo” si stava per materializzare nuovamente dopo quell’80-83 di inizio gennaio. Ma in quella Trieste targata 2000/01, con tanto talento individuale nel roster (Dante Calabria e lo “zar” Sergej Bazarevitch vi dicono niente?), proprio nel momento più opportuno strabordò l’incredibile leggerezza d’animo di Peter Sauer, sfortunatissimo atleta che una decina d’anni dopo lasciò questo mondo a causa del suo cuore ballerino. Ad eccezione della gara interna contro Rimini, risolta anch’essa allo scadere, “Pete” fu uno di quelli che sin lì aveva lasciato pochi segni in quella stagione, recitando più il ruolo di gregario che non quello di prima donna all’interno della squadra. Ebbene, quella palla rubata a Lasa a 35” dalla fine per il sorpasso definitivo della partita, rimane per il sottoscritto (e credo per tutti coloro che ebbero la fortuna di assistere dal vivo) un istante indelebile, che di fatto scrisse una piccola ma brillante pagina di storia giuliana prima del doloroso fallimento di qualche anno dopo. Alla sirena finale staccai provvisoriamente il cervello, feci una lunga corsa verso l’esterno e – lontano da occhi indiscreti – esultai come un pazzo in mezzo a una parte semi-deserta del parcheggio. Sì, la Telit ce l’aveva fatta. Ce l’avevamo fatta tutti noi triestini. E il viaggio di ritorno non poteva essere più dolce di quello che subito dopo intraprendemmo, alla volta di casa.

Perché scrivere questa filippica, oltre al puro ricordo e al semplice amarcord? C’è un motivo: la sfida tra Udine e Trieste, nelle gioie e nei dolori delle rispettive tifoserie, ha sempre regalato emozioni intensissime. E viverle nella maniera giusta, a partire da quello di domenica a Cividale tra Gsa e Alma, rappresenta potenzialmente un’altra, deliziosa pagina di basket delle nostre zone.  Vivetela tutti voi, friulani e giuliani, come una festa dello sport. E di questo fidatevi non del sottoscritto, ma delle parole sulle colonne del quotidiano locale pronunciate dal “Pec” che – in fatto di serenità – ha fatto ormai da anni un bellissimo “voto”…

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Si avvicina a grandi passi il ballottaggio di domenica 19 giugno tra il sindaco uscente Roberto Cosolini e lo sfidante Roberto Dipiazza: sul forum di Elsitodesandro è stata da poco aperto un sondaggio per poter esprimere (anonimamente 🙂 ) la propria preferenza.

Il link al sondaggio è il seguente: http://bit.ly/1YrdaEP. Per partecipare, è necessario essere registrati alla nostra comunità virtuale (e se non siete ancora nostri utenti, potete farlo QUI)

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Lui è Diego Husu. Si firma Dieguz. Ma il popolo sandrino di vecchia data lo conosce meglio con il nickname di Cazzaballe, uno degli utenti che nel corso degli anni ha intrattenuto grandi e piccini con la sua simpatia e con una sana dose di pazzia ingiustificata (specie giocando a Texas Hold-Em) che è sempre stata la quintessenza della comunità di Elsitodesandro.

Il mio collega Ing. Informatico (sì, se magari non lo sapevate, lo è anche il sottoscritto…e neanche tanto a tempo perso) ha deciso di darsi alla musica. Con un “maestro Jedi” di primissimo livello quale è Maxino (che prego ancora una volta, in ginocchio, di tornare a creare i video di Holly e Benji in triestino!), il Cazzabaloni per eccellenza ha da pochi giorni condiviso sul proprio canale YouTube “Piazza Brande”. Ovverosia – come si evince dal prologo del video stesso – “Una piccola dedica ai triestini che se sbranda a Barcola al primo raggio de sol”.

Due minuti abbondanti imperdibili per noi autoctoni. Ma anche per tutti i “foresti” che vogliono conoscere un piccolo pezzetto delle tradizioni che accomuna buona parte del popolo giuliano.

Ah, a proposito: le “sariandole” del titolo sono le “lucertole”, sempre per i “foresti”…

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jordan parks 3E’ ufficiale: l’americano Jordan Parks vestirà la maglia della Pallacanestro Trieste 2004. La società biancorossa ha infatti comunicato il raggiungimento dell’accordo su base biennale relativo all’ala di 201 cm, classe 1994, nativo di Staten Island (New York).

Dopo l’esperienza a Campus Magnet High School e i due anni passati ai Patriots di Central Florida (10.8 PPG in 15.5 minuti di utilizzo medio durante la stagione 2012/13), Parks ha trascorso le ultime due stagioni agonistiche a North Carolina Central nel campionato NCAA, passando dai 10.1 punti di media nel 2013/14 ai 15.6 PPG in 31.6 minuti disputati per singolo match all’interno del suo secondo anno con la casacca degli Eagles, con il 66% di realizzazione da due punti (1° nella MEAC Conference e 4° in assoluto nell’intero torneo) e il 37% dalla lunga distanza. Oltre ad aver collezionato 8.3 rimbalzi e 1 stoppata ad allacciata di scarpe, nel campionato appena trascorso l’atleta ha infine messo a segno 13 “doppie-doppie”, guadagnandosi anche un titolo di “Defensive Player of the Week” nello scorso mese di dicembre.

“E’una sensazione surreale e al tempo stesso fantastica, quella che sto provando in queste ore che seguono la firma sul contratto” è il primo commento da neo biancorosso di Jordan Parks, che aggiunge: “Sono davvero grato a Pallacanestro Trieste 2004 di avermi scelto: scalpito letteralmente dalla voglia di iniziare la mia carriera da “Pro” con questa maglia. Non vedo l’ora di mettermi al lavoro e di conoscere i miei nuovi compagni di squadra, in quella che per me è un’occasione preziosissima che cercherò di sfruttare a fondo”.

“La scelta di puntare su un prospetto molto interessante come Parks è il modo migliore per dare continuità al nostro progetto sui giovani, basato non solo su atleti italiani ma anche su quelli stranieri” ha invece affermato il coach biancorosso Eugenio Dalmasson. “Jordan è un atleta che fa dell’energia e del grande entusiasmo che riversa sul parquet il proprio modo di concepire e interpretare il basket: arriva in Italia e in particolare a Trieste con la grande volontà di crescere. Il nostro compito sarà quello di aiutarlo e di agevolarlo il più possibile, in quella che sarà la sua prima esperienza lontano dagli Stati Uniti”.

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