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La si aspettava trepidante, quasi come fosse l’unico vero appiglio da prendere al volo per non cadere nel baratro: e invece la pista degli imprenditori abruzzesi, pronti a entrare come nuovo socio di riferimento, si è sciolta come neve al sole. Niente accordo, fumate più nere del carbone e, di riflesso, una situazione che rischia seriamente di precipitare per la maggior realtà del basket giuliano: di fatto, sono variabili che danno la stessa sensazione di un ceffone sul viso.

L’ urgenza da parte della società di chiudere l’intesa, al fine di garantire un futuro poco dissestato alla Pallacanestro Trieste 2004, si è definitivamente arenata sulla lungaggine delle trattative con la finanziaria in questione: una storia mai realmente iniziata (se non per un certo numero di incontri tra le due parti) e con un epilogo che non ci si augurava, anche perchè al momento lì fuori non c’è nessun altro disposto (o anche minimamente interessato) ad accollarsi in tempi brevi il “fardello”.

E ora? Pare evidente che, tramontata definitivamente la principale alternativa da poter cavalcare, si sia quasi arrivati al punto di issare bandiera bianca: la società presieduta da Luigi Rovelli non farà passi più lunghi della gamba, anche perchè una cosa del genere era stata fatta nell’estate scorsa, quando i dubbi erano maggiori rispetto alle certezze nel pianificare addirittura da un anno a quello successivo. Saranno sicuramente prese azioni immediate nei prossimi giorni, rivolte a un ulteriore piccolo risparmio (tra tutte, quelle di rescindere anticipatamente i contratti di giocatori e staff), ma è chiaro che ciò servirà a poco se non ci sarà la garanzia economica di salvaguardare l’attuale categoria e di potersi iscrivere al prossimo campionato.

Sono diversi gli scenari che si potrebbero palesare nelle prossime settimane, ma quello teoricamente più verosimile è la consegna delle “chiavi” al sindaco Roberto Cosolini, che di fatto si vedrebbe recapitare la patata bollente nelle proprie mani (rimembrando come, da dirigente della vecchia Pallacanestro Trieste, nel 2004 vide calare il sipario in prima persona). Difficile poi ipotizzare cosa possa accadere, anche perchè in pratica il primo cittadino della città dovrebbe lavorare in maniera febbrile per trovare un acquirente sano e interessato alla faccenda: ad ora sembra però un’utopia pescare qualche personaggio economicamente forte che possa fare una mossa importante nell’immediato. Il tempo intanto continua a scorrere, con la scadenza di fine maggio fissata dalla società per un “arruolamento” di forze fresche che quasi certamente non porterà agli obiettivi ipotizzati (o meglio, caldamente sperati) nell’ultima conferenza stampa andata in scena ad aprile.

Rimembrando quanto accaduto in ambito calcistico nel 2012, con il fallimento della Triestina e la ripartenza dall’Eccellenza regionale, quello che potrebbe attendere Cosolini è un impegno arduo.  La città è morta imprenditorialmente, il periodo di crisi globale certamente non aiuta e gli interessi delle poche grandi sfere attualmente presenti sul territorio non sembrano volersi indirizzare verso l’ausilio alle realtà sportiva. I tifosi, dal canto loro, non vogliono perdere nuovamente il basket che conta e già abbozzano diverse prese di posizione per evitare nuovamente di privarsi della propria squadra: azionariato popolare,  anticipo di una parte della quota-abbonamenti per la prossima stagione, invio di missive per sensibilizzare le maggiori aziende della zona al problema della Pallacanestro Trieste 2004. Sono questi alcuni esempi dell’unica vera forza della piazza che la città può vantare, l’ultima a voler morire in barba al “NO SE POL” che continua a comandare.

I discorsi sono triti e ritriti, ma la verità è una soltanto: l’amore per i colori biancorossi da parte di molti “poveri” sostenitori non può bastare per la sopravvivenza nella seconda serie nazionale. Serve coesione di intenti, ma soprattutto una o più figure forti che si prendano sulle spalle la responsabilità di fare tutto il possibile per evitare il patatrac. Non fare nulla è peggio che farlo senza poi ottenere un risultato finale: deve essere questo lo spirito per tenere accesa la fiammella della speranza.

 

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