Tre amichevoli in cinque giorni: hai voglia a dire “sarà una settimana intensa” ai giocatori della Pallacanestro Trieste, chiamati a partire da martedì sera nella sfida contro i “Tori” di Kapfenberg (palla a due al PalaPaliaga di Monfalcone alle 20, ingresso gratuito) e al tempo stesso a far vedere i progressi derivanti da un’intera settimana – quella che ci si è ormai messi alle spalle – di allenamenti.

Prima il match nella cittadina dei cantieri nell’ambito della ventesima edizione della BSL, poi nel prossimo weekend il quadrangolare con Forlì (che Trieste affronterà venerdì 1° settembre alle 19), Cividale e Vigevano al “Memorial Bortoluzzi” del Lignano Basket. Di occasioni per rivedere in campo la squadra che ha sofferto parecchio martedì scorso a Valmaura contro BYU Cougars  (con tutte le giustificazioni del caso, dopo così pochi giorni di preparazione atletica nelle gambe) ce ne saranno parecchie. E anche se l’inizio di campionato è lontano, non lo è invece la Supercoppa di metà settembre, primo vero impegno ufficiale della banda di coach Christian. Ed è logico che già nelle prossime tre amichevoli – seppure così ravvicinate – l’asticella dovrà per forza di cose essere alzata.

Da dove si riparte, dunque? Senza dubbio, da un “feeling” di squadra che deve portare la Pallacanestro Trieste a fare maggiormente ordine nella costruzione del proprio gioco offensivo. Contro BYU le 23 palle perse sono l’inevitabile passaggio obbligato di un team che ha ancora una propria identità da plasmare. Con i “big” di squadra che già hanno vedere buone cose attaccando il canestro avversario (Filloy e Ferrero hanno già dimostrato mani sufficientemente calde dalla lunga distanza, Ruzzier si è già messo in “modalità-metronomo” ad attaccare le difese altrui in uno contro uno, nonostante qualche turnover), ora lo step successivo è naturalmente quello di mettere un po’ più di pulizia in ogni metà campo. Con annessa curiosità di rivedere all’opera Eli Brooks, “freddino” al tiro martedì scorso ma con quei sei assist e ben nove rimbalzi conquistati a far capire che il prodotto di Michigan Wolverines può (anzi, deve) ritagliarsi una propria dimensione  che non deve essere per forza di cose “monocorde” all’interno di questo team.

Spazio quindi alla ricerca della chimica di squadra ma anche agli… esperimenti. Anche perché, per come si continua a professare nelle tante conferenze stampa organizzate (e in tal senso, complimenti alla società per essere così presente in questi appuntamenti con gli addetti ai lavori, rispetto solo a quanto succedeva qualche mese fa…), per diventare la squadra da battere bisognerà essere preparati a tante soluzioni nuove sul parquet. E se Jamion Christian potrà davvero essere il “pioniere” di un nuovo modo di intendere il basket a queste latitudini, lo scopriremo molto presto…

(da Citysport.news, foto Matteo Nedok)

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“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”: è stata questa una frase tanto cara nella carriera di Andrea Coronica, che da ieri ha ufficialmente appeso le scarpe al chiodo anche perché quelle dannate ginocchia non ne hanno proprio voluto sapere di lasciarlo giocare ancora per un pochino a basket. E di responsabilità “Coro” ne ha saputo conquistarsene parecchie, arrivando sino a essere capitano della Pallacanestro Trieste e ad alzare una Supercoppa LNP e soprattutto regalandosi una promozione nella massima serie che ora questa piazza è costretta nuovamente a inseguire.

“Spero di rimanere a Trieste e di crescere come giocatore davanti alla mia città, e perché no, diventare il capitano della squadra della mia città. Ma questo è un sogno più che altro” affermò Coronica nel 2014, in piena epoca “dalmassoniana” quando in A2 c’era davvero bisogno di una squadra operaia per riuscire a fronteggiare i pochi denari a disposizione a livello di budget. Perché alla fine della fiera, a “Coro” non interessava diventare un campione NBA: bastava indossare la maglia biancorossa e farla diventare la sua seconda pelle. Quel sogno è poi diventato realtà qualche anno più tardi, per un ragazzo che ha sempre colpito tutti per umiltà, voglia di mettersi a disposizione, spirito di servizio e un grande, grandissimo attaccamento allo spogliatoio e ai suoi compagni di squadra. Perché Andrea ha sempre incarnato il giocatore che tutti gli allenatori vorrebbero allenare, in barba a una tecnica magari non eccelsa “calpestata” però dall’entusiasmo di far parte della squadra della propria città. Un qualcosa che nessuno gli potrà mai portare via.

Oltre a questo nostro piccolo contributo, di tributi a Coronica se ne potrebbero fare parecchi. Ma forse quello più importante è arrivato due estati fa nel campetto di piazza Carlo Alberto, quando a sorpresa la Curva Nord (con la complicità del suo grande amico Stefano Bossi) gli regalò un pomeriggio di emozioni, di cori e di ringraziamenti subito dopo l’addio alla maglia della Pallacanestro Trieste. Il suo grande “sogno” si era concluso da poco, ma con l’orgoglio di esserci stato nei momenti bui e in quelli belli. Sempre col sorriso stampato in volto, tenendo sempre alto il nome della sua città in giro per l’Italia. E con quella seconda pelle addosso che continuerà a vestire anche lontano dal parquet.

Grazie di tutto, “Coro”!

(da Citysport.news)

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Con il mercato estivo che finalmente si è concluso ieri con la firma di Justin Reyes, la Pallacanestro Trieste è dunque pronta ad affrontare il prossimo campionato di serie A2. Ma la squadra plasmata dal GM Michael Arcieri sarà davvero in grado di sbaragliare la folta concorrenza e arrivare alla fine della prossima primavera alla promozione in A?

Premettendo che – come sempre – sarà il parquet a definire il successo o meno del gruppo allenato da Jamion Christian, un primo banalissimo bilancio di quanto operato dalla società giuliana in questi mesi post-retrocessione può già essere fatto. E la sensazione più tangibile è che da una parte si sia voluto operare in un ambito di “usato garantito”, riconfermando buona parte del roster italiano dello scorso anno e puntando su cavalli di battaglia come Ferrero e Filloy che al… piano di sotto possono fare tanto male alle difese avversarie, nonostante una carta di identità non più così verde.

Quello che è certo è che, in tutto e per tutto, è per ampi versi la squadra che proprio Arcieri aveva in mente. Con tantissimi tiratori da tre (e a occhio nudo, sarà proprio la percentuale dai 6 e 75 a diventare una delle variabili di successo o meno di questa squadra), probabilmente “leggerina” in pitturato (tenendo conto della propensione di Candussi a prendersi responsabilità importanti anche dalla media e lunga distanza, è il solo Vildera a essere centro indiscusso nello scacchiere biancorosso) e con due grandi scommesse che – se verranno vinte – faranno tutta la differenza del mondo.

La prima è indubbiamente rappresentata dal coach: Christian arriva a Trieste carico a pallettoni per questa nuova avventura oltreoceano, ma dovrà saper gestire alla perfezione un gruppo costituito in gran parte da giocatori italiani. In un ambito a lui “sconosciuto” come quello del campionato di serie A2, dove potrà comunque sicuramente portare innovazioni e un pizzico di imprevedibilità nelle scelte tecniche anche grazie a tutti gli anni passati in NCAA tra Washington Colonials, Siena College e Mount St. Mary University. La seconda è anch’essa a stelle e strisce e porta il nome di Eli Brooks: dando per scontato che la “fragilità fisica” di Reyes – dopo l’operazione al menisco dello scorso dicembre e i successivi problemi trascinati sino a fine stagione – sia cosa definitivamente superata per il giocatore di passaporto portoricano, molte delle fortune biancorosse del prossimo campionato passano inevitabilmente dalle mani del nativo della South Carolina. In un reparto pieno zeppo di alternative, da un lato Brooks potrà crescere senza l’assillo di avere subito troppa responsabilità sulle spalle. Come rovescio della medaglia, la combo guard ex Fort Wayne Mad Ants dovrà comunque metterci subito del suo per diventare quell’eccellente difensore e solidissimo tiratore che li hanno valso la chiamata in Pallacanestro Trieste.

Alla fine della fiera, è una squadra sulla carta molto solida per la categoria quella che si appresta a iniziare le proprie fatiche, con qualche piccolo interrogativo ma al tempo stesso con la consapevolezza che si può diventare la squadra da battere, specie se si riuscirà a trovare la chimica giusta sin dai primi impegni ufficiali (leggi, Supercoppa di inizio settembre). In un campionato lunghissimo tra regular season, fasi ad orologio e play-off, conterà sbagliare poco. E questo potrà essere sia motivo di sprone che la più classica delle spade di Damocle: adesso la parola passa al campo.

(da Citysport.news)

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Il mix tra “usato garantito” e un volto nuovo, quello in panchina: ovverosia, tutto ciò che possa aiutare alla causa per viaggiare il più in alto possibile nella prossima stagione. Se poco meno di sette giorni fa l’”Attesa infinita per l’allenatore” era tutto ciò su cui si discuteva sui social, da qualche giorno a questa parte l’arrivo di Jamion Christian come head coach ha di fatto “stappato il tappo” in Pallacanestro Trieste per l’ufficializzazione di diversi giocatori. E, nel mercato estivo biancorosso, al momento ci sono tantissimi volti noti e poche, reali scommesse: da già ufficializzati Bossi, Deangeli e Candussi ai vari Vildera, Filloy e Ferrero (quest’ultimo uscito di scena da Varese e preso per mano dal GM Arcieri allo scopo di dare punti ed esperienza al sodalizio giuliano) che con buona probabilità verranno ufficializzati a strettissimo giro, la prima parte di roster è in pratica già definita.

Lo si diceva qualche tempo fa: la volontà di Richard De Meo e di tutto l’entourage della Pallacanestro Trieste è quello di lavorare sottotraccia, con pochi proclami se non quello già abbondantemente urlato ai quattro venti di voler restare davvero poco in A2. Al netto delle difficoltà che inevitabilmente la banda di Christian troverà sul proprio cammino (22 giornate di regular season, 10 di fase ad orologio e tutti i playoff è roba da far già tremare i polsi, pensando che servirà un mucchio di continuità di rendimento lungo la stagione), la fase “calda” di mercato arriva proprio adesso. Perché sicuramente Arcieri tornerà a Trieste da Las Vegas in queste ore con un taccuino pieno zeppo di ipotesi sui due giocatori americani da infilare nel roster, oltre a definire ciò che ancora manca nel reparto italiani (leggi: Ruzzier deciderà di cedere alle lusinghe di Trento o c’è ancora spazio di manovra per riaverlo qui? Una possibile trattativa che porta a Moraschini è ancora valida, dopo i rumours delle scorse settimane?).

Sono ancora molte le caselle da riempire, con una certezza: “indovinare” la coppia USAdiventa essenziale per dormire su due guanciali. Con tutti gli annessi e connessi del caso, poiché il blocco dei tesseramenti prima della fase dei playoff (deciso nell’ultimo Consiglio Federale) non permetterà di effettuare ritocchi a ridosso della fase più calda del campionato. Ed è proprio che questo motivo che l’esperienza di Michael Arcieri diventa importantissima per portare a Trieste le pedine a stelle e strisce giuste. C’è solo da aspettare, attendendo anche la presentazione della campagna abbonamenti 2023-2024 in programma nei prossimi giorni, in presenza anche del presidente De Meo e di Prab Sekhon per il gruppo CSG. E anche in questo caso non si dovrà sbagliare: la rinascita dovrà ripartire con un palazzo dello sport “caldo” e pieno zeppo di tifosi.

(tratto da Citysport.news)

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Così come era arrivato da sbarbatello nella stagione 2015/2016, in qualità di assistant coach assieme a Matteo Praticò durante l’era “dalmassoniana”, così Marco Legovich se ne va dalla Pallacanestro Trieste: in punta di piedi. Ma è – detto fuori dai denti – un addio dal retrogusto amarognolo. Perché al netto di responsabilità personali (e un capo allenatore inevitabilmente paga per primo una dolorosissima retrocessione sul campo come è stata quella rimediata a inizio maggio), quello che si è consumato ieri è stato un benservito che forse, per modi e tempi, poteva essere fatto in maniera diversa.

Un inizio complicato di campionato, poi una salita sugli scudi a portare Trieste a ridosso della zona playoff, poi ancora nuove difficoltà sino a quel maledetto 6 maggio a tranciare di netto i sogni di un giovane allenatore che sognava di poter vincere una sfida bella e al tempo stesso da far tremare i polsi. È un film che “Lego”, per tutto il lavoro fatto e per le tanti notti insonni trascorse dal primo allenamento della scorsa estate sino all’ultima (maledetta) sfida di campionato, lo rivedrà ancora parecchie volte nei mesi a venire. Il rammarico c’è, da parte di tutti (in primis in quel Richard De Meo che probabilmente più di chiunque altro non avrebbe voluto ricorrere a questa mossa), ma per tenere la barra dritta nel momento che contava Marco Legovich è stato forse lasciato troppo da solo a non far affondare la barca giuliana. E in mezzo alla tempesta, non è detto che qualcuno di più esperto ne sarebbe uscito diversamente.

Si chiude dunque un capitolo di storia biancorossa, quello di un claim “Audaci” che va in cantina non pagando dividendi, per fare spazio a una politica societaria dove conta il risultato, senza guardare troppo ai sentimentalismi. In attesa di capire chi sarà, citando le parole di De Meo del comunicato stampa di ieri, “un head coach che possa contare su una lunga esperienza in panchina” (e il toto-allenatori è ufficialmente partito), vale la pena ancora una volta fare un in bocca al lupo a “Lego”. Quel suo “Per Trieste, sempre”con cui ha chiuso la sua parentesi biancorossa tramite una storia sul suo profilo Instagram, fa capire perfettamente l’amore e l’orgoglio che questo ragazzo ha riposto in un cammino che non lo ha certamente premiato. Di questo, anche i suoi detrattori dovranno prenderne atto.

(Dal numero di Citysport.news di lunedì 26 giugno 2023)

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Fa male. Male da morire. E forse averla vissuta da vicino, a fianco come sempre di una squadra che ci vede prima di tutto tifosi che semplici cronisti, intensifica il malessere che inevitabilmente ci porteremo dentro per parecchio tempo. La Pallacanestro Trieste cade, e cade fragorosamente, nell’appuntamento più importante della stagione: lo fa nel peggiore dei modi, arrendendosi troppo presto davanti a una Brindisi che ha fatto semplicemente il proprio dovere sul parquet, da squadra seria qual è. E dopo la sbornia di sette giorni prima con la vittoria contro Verona, che incontreremo nuovamente al piano di sotto, il calice amaro da buttare giù assomiglia a una damigiana. Ma sia chiaro, una volta per tutte: è inutile piangere su quanto hanno fatto le altre squadre, che invece la serie A se la tengono stretta. Trieste era padrona del proprio destino e l’ultima carta se l’è giocata davvero male.

Uscire dal PalaPentassuglia, sapendo che d’ora in avanti ci attende nuovamente il purgatorio della A2 da cui sarà naturalmente complicato riemergere (visto anche il quantitativo industriale di nobili decadute a fare tanta fatica nel rimettere piede nell’Olimpo del basket italiano…), porta naturalmente a una serie infinita di domande. Si poteva evitare tutto questo? Certo che sì, al di là di un percorso ad ostacoli durato una stagione intera in cui Trieste è partita malissimo, ha saputo rialzarsi in corso d’opera ma ha fallito clamorosamente il finale. Certo, tra tutte c’è la questione-Davis ad aver pesato come un macigno (e, col naturale senno di poi, l’aver affidato praticamente tutta la cabina di regia a Ruzzier e Bossi nelle ultime giornate, senza dotarsi di un rimpiazzo, si è trasformato in un gioco d’azzardo che non ha pagato). Ma la verità è che, da un mese di gennaio scintillante contrassegnato da quelle quattro vittorie di fila che avevano addolcito la bocca di tutti – con annesso qualche pensiero sconcio anche in chiave playoff – nelle 13 partite seguenti Trieste ha vinto solo tre volte. Quando le cose stanno così, maledire alcuni risultati “strani” degli altri campi ha senso fino a un certo punto. E continuare a puntare il dito su questo ambito è un esercizio che non ha più senso.

Una retrocessione porta inevitabilmente sul banco degli imputati una società che, alla fine della fiera, si è ritrovata con il cerino in mano e che non ha saputo trovare il modo di dare la scossa giusta per evitare di abbandonare la massima serie dopo cinque anni. Di riflessioni da fare ce ne sono a bizzeffe, c’è una proprietà nuova che ieri sera, con una A2 sul groppone, si è fatta sentire con quel “Guardare avanti con l’umiltà di chi è caduto. Imparare dagli errori. Rialzarsi. Agire. Il dolore di oggi è la grinta di domani”. Ora dalle parole (o meglio, dai claim) si dovrà essere bravi a resettare tutto e ridare soprattutto entusiasmo a un ambiente – quello dei tifosi – che ha saputo sempre rispondere presente nonostante tutto e che inevitabilmente finirà col raffreddarsi. Questa è una piazza che vive di basket. E ieri ha ricevuto uno schiaffo bello potente.

(da Citysport.news di lunedì 8 maggio 2023, credits ph. Pallacanestro Trieste)

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È vero: la salvezza ancora non c’è. Ed è altrettanto vero che, per non dipendere dalle altre, servirà fare risultato domenica prossima a Brindisi su un parquet sempre estremamente avaro di soddisfazioni per i nostri colori. Ma, al netto dei tanti incroci di risultati che si potrebbero materializzare (e in tal senso, Trieste deve sperare che in caso di sconfitta in casa dell’Happy Casa non arrivino le contemporanee vittorie di UNAHOTELS, Givova Scafati e GeVi Napoli), una cosa è certa: a quaranta minuti dal termine del campionato, la banda di Marco Legovich è ancora padrona del proprio destino. Un dettaglio non da poco, senza scomodare le famose disgrazie altrui che – guardando a certi risultati concomitanti, come la rocambolesca vittoria interna di ieri di Treviso sulla Virtus Bologna – è sempre meglio tenere lontano dalla portata dei bambini.

È vero: in Puglia sarà durissima. Ma c’è un elemento non trascurabile: Trieste è viva e ha davvero un contributo da parte di tutti. Lo si chiedeva a gran voce nell’ultimo periodo: contano non solo i senatori d’oltreoceano, ma anche la classe operaia italiana. Ed ecco che, in un match drammatico come quello contro una Verona che mestamente lascia la massima serie dopo solo un anno, di “operai” biancorossi ce ne sono a bizzeffe. Dal risveglio di Campogrande (e ti preghiamo Luca, anche a Brindisi fai vedere che quelle mani così gelide durante tutta la stagione sono diventate calienti nel momento più importante del campionato…) alla riconferma di un Alessandro Lever – utilissimo a tenere alti i giri del motore nei momenti di down giuliano contro la Tezenis – sino all’infinito cuore di uno Stefano Bossi che ha saputo dare un calcio netto a una stagione difficile, con quel tormento di sentirsi dire da molti detrattori “Ma che ci fai tu in serie A?”. Ecco allora che, a quaranta minuti dalla fine, l’ultima missione che la Pallacanestro Trieste è chiamata a compiere è un pochino più semplice, guardando alla voglia e alla concretezza di chi ha saputo soffrire in silenzio per un’intera annata, dando un valore aggiunto enorme a una squadra che certamente si è complicata la vita in questo finale di campionato, ma che ha ancora cartucce da sparare per arrivare all’obiettivo.

Tutto ancora da scrivere, certo. E, ancora per un weekend, lasciamo da parte le eventuali recriminazioni per non aver chiuso la pratica salvezza con largo anticipo. L’importante è essere ancora in corsa. E ciò che conta di più, è avere ritrovato l’entusiasmo bruscamente smarrito nelle ultime settimane: da qui si può ripartire con spirito rinnovato. Così, la “missione pugliese” diventa meno impossibile, senza alcun dubbio.

(Da Citysport.news di lunedì 1° maggio, foto Matteo Nedok)

 

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È innegabile: nessuno avrebbe voluto, a due giornate dal termine, essere ancora in ballo per non retrocedere. Ci eravamo fatti la… bocca buona solo qualche settimana fa, quasi tutti convinti che evitare gli ultimi due posti fosse puramente una formalità. E invece, per demeriti propri e per meriti altrui di molte delle squadre invischiate nella lotta di fondo classifica, la Pallacanestro Trieste è costretta a regalarsi un finale di stagione ad alta tensione. E come tale, è arrivato per tutti il momento di stringere i denti. Sia per la squadra che va in campo che per i tifosi.

Dopo una settimana a dir poco allucinante, con Davis fuori dai giochi per la positività al doping e le tre sconfitte in sette giorni (con tante buone occasioni sprecate), inizia un nuovo campionato per i biancorossi. Perché nei prossimi ottanta minuti – tra lo scontro diretto di domenica prossima contro una Verona alla canna del gas e l’ultima di regular season su un parquet da sempre difficile come quello di Brindisi – non ci si gioca solamente la salvezza, ma molto di più. Certo, probabilmente potrebbero bastare solo i due punti all’Allianz Dome contro la Tezenis, sperando nelle contemporanee disgrazie delle dirette rivali, per arrivare a quota 22 in classifica e chiudere i conti. Ma la “moda” delle tabelline, per quanto lecita, è da sempre un esercizio complicato e pericoloso: lo si è ripetuti all’infinito che conta solo guardare a se stessi e purtroppo Trieste in questa situazione ci si è infilata da sola. Così come da sola dovrà tentare di uscirne, anche se è logico che a livello di roster, senza Davis, la coperta è diventata cortissima (e chissà se in settimana vedremo un volto nuovo comunitario in cabina di regia…) per un team che dimostra di essere ancora vivo, ma che da settimane non riesce a fare i punti che servono.

Anche ieri a Pesaro, così come a Sassari e così come in tanti altri palazzi dello sport di mezza Italia, i supporters biancorossi hanno cantato, sperato e lottato a fianco della squadra di Marco Legovich. C’è tanta delusione, è inevitabile, per essere usciti a bocca asciutta da tante (e troppe) partite importanti per la salvezza. Quella di domenica 30 aprile è fondamentale per il futuro prossimo della Pallacanestro Trieste: ora come non mai, vanno lasciati da parte i mugugni (legittimi, sia chiaro) per il trend negativo e tifare la squadra come mai fatto in questa stagione e negli ultimi anni. Popolare in massa le tribune dell’Allianz Dome è l’unica cosa che va perseguita, perché ognuno – dentro e fuori dal campo – dovrà dare il 110% per uscire definitivamente dalle secche. Perché lo abbiamo visto nel recente passato: tutti assieme, si vince sempre. E se ognuno farà la sua parte, ci rivedremo nuovamente in serie A anche il prossimo anno.

(da Citysport.News, foto Matteo Nedok)

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Guardando bene, è da una vita che non inserisco un articolo in questo mio blog. Sarà per i molteplici impegni professionali, sia in ambito informatico (se non mi seguite sui social, sappiate che ormai sono votato anima e corpo all’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS per il quale lavoro già da due anni e mezzo e con cui da poco mi sono “sposato” a vita 🙂 ) che su quello giornalistico (mi seguite, spero, su Citysport.news…).

Di fatto però, pur con una comunità virtuale come quella del mio forum che continua ad avere un seguito pazzesco (e anzi, se siete qui a leggere queste righe e non esservi ancora iscritti, fateci un pensierino…), in passato spesso ho pensato che proprio questo blog potesse essere qualcosa di superato. “Scrivo dappertutto, perché tornare a farlo anche qui? Ancora un po’ e nemmeno ho il tempo di respirare” mi sono detto. Ma, dopo un investimento importante datato qualche anno fa, che mi aveva portato anche a un tentativo di far diventare Elsitodesandro la mia principale attività lavorativa (sul perché poi non l’ho fatto, magari ve ne parlerò in futuro…), chiudere questa parte del mio sito voleva dire in parte cancellare tante ore di lavoro, impegno e sudore messo nel recente passato. E quindi no, il blog non chiude. Ma ritornerà a essere una parte fondamentale dell’SDS.

In fondo, per scrivere due pensieri “sandrini”, cinque minuti ce li ho sempre a disposizione. O quasi… 😉

(P.S. ho messo, come immagine in evidenza, quella del mio MacBook Air M2 appena… “decaffeinizzato”. Cercate di non fare come il sottoscritto, che durante la stesura mattutina dei suntini sandrini sul Forum ha pensato bene di rovesciare di sopra l’intero contenuto della tazza di caffè…)

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VENERDÌ 24 SETTEMBRE 2021

  • Chiarbola e i suoi tifosi pronti ad abbracciare la Pallamano Trieste per l’esordio stagionale che domani alle 19, arbitri Riello e Panetta, vedrà la formazione di Fredi Radojkovic sfidare lo Junior Fasano. Come scrive Lorenzo Gatto oggi sul Piccolo, reduce dalla deludente prova con annessa sconfitta a Bolzano, Trieste cerca un pronto riscatto e i primi punti in classifica.Settimana intensa dal punto di vista della preparazione, la squadra ha rallentato dal punto di vista prettamente fisico concentrandosi sul lavoro con la palla. Perfezionare l’intesa, cercare buone soluzioni di tiro e limitare al massimo le palle perse: la ricetta per venire a capo del rebus che la terza giornata proporrà ai biancorossi. A chiamare a raccolta i tifosi Andrea Carpanese e Marco Visintin, vice allenatore e capitano della squadra ma soprattutto colonne portanti di una società nella quale militano da sempre.«Il pubblico qui a Trieste ha sempre fatto la differenza – sottolinea Carpanese – non vediamo l’ora di ritrovarli al palazzo e poterli riabbracciare. Da parte della squadra – continua Visintin – posso promettere che daremo il 110%. Metteremo cuore, testa e gambe in campo, vogliamo vincere e sono convinto che con il supporto dei nostri tifosi riusciremo a farlo».Continua anche domani a Chiarbola la campagna abbonamenti che in queste prime settimane ha registrato un centinaio di adesioni. Serve un ulteriore scatto per raggiungere almeno i livelli della passata stagione. Giornata ricca di spunti quella che domani porterà in campo le squadre della serie A Beretta. Big match a Sassari tra i padroni di casa della Raimond e Bressanone. Con Fasano a Trieste, Conversano strizza l’occhio a una giornata che potrebbe regalarle il primato solitario

  • «Ci gira tutto storto» ripetono all’unisono i giocatori e il tecnico Bucchi. E viste le ultime partite e in particolare l’ultima con la Juve è anche vero. Periodi così capitano nello sport solo che all’inizio e alla fine fanno più clamore. Il fatto è che il «gira tutto storto» è di casa nell’ambiente della Triestina da un bel po’. Diciamo almeno da un anno o meglio ancora da aprile dell’anno scorso. Molti dei protagonisti in campo non sono gli stessi, quelli sugli spalti o davanti alla tv sì. E così anche ai tifosi “girano”, e non solo a quelli iperscettici da testiera, ma anche a quei pochi che ancora frequentano il Rocco o a quei tanti che chiacchierano al bar. Il loro status è più che comprensibile. Vedere la Triestina nelle ultimissime posizioni con la miseria di 2 punti fa male. E “gireranno”, questo e fuori dubbio, anche a Mauro Milanese che, oltre a gestire il club e i denari del cugino Biasin, sente il peso di essere il primo responsabile della squadra della sua città. In questo momento invece l’unica cosa che è opportuno far “girare” è la squadra. E paradossalmente si può migliorare la situazione fissando alcuni punti senza lasciarsi trascinare nei vortici emotivi. Detto che, pur prevedendo una partenza balbettante per le scelte e gli infortuni in sequenza, i risultati sono deficitari oltre ogni aspettativa. Bucchi da persona preparata e intelligente lo sa bene. In quattro gare tutti gli esperimenti fatti hanno dato degli esiti. Questa Triestina è ben attrezzata anche numericamente soprattutto dal centrocampo in su. Per esprimere il potenziale della rosa è razionale giocare con la difesa a tre. E su questo sembra che la convinzione ci sia. A centrocampo, come si è visto nel primo tempo di Padova e nella ripresa con la Juve, servono in campo almeno due mediani di ruolo. Davanti due punte non si discutono, anche se non si può non sottolineare come le assenze di De Luca, Petrella, Litteri e da ultimo anche Gomez complicano la gestione del tecnico. A questo assetto già provato si possono aggiungere a centrocampo un mediano, un quinto (Rapisarda , Lopez, Iotti), un esterno (Procaccio, Galazzi) o per aiutare l’attacco un trequartista (lo stesso Procaccio) o una punta adattata. È vero che la difesa ha preso in questo primo scorcio di torneo delle reti evitabili (ma c’è anche la concentrazione)ma appare evidente la difficoltà degli attaccanti a trovare la porta. Le tre reti realizzate sono state firmate da difensori ma anche le numerose occasioni costruite soprattutto nel match di Alessandria non sono state capitalizzate. Comunque il secondo tempo con il Piacenza, il primo di Padova e in pratica l’intero match con la Juve, pur davanti ad avversari di spessore diverso, hanno evidenziato una progressione nelle prestazioni dell’Unione anche se insufficienti a timbrare la prima vittoria stagionale e nemmeno ad evitare le prime due sconfitte che hanno fatto lievitare il distacco dalla parte alta della graduatoria. Nè evidentemente aiutano in questo frangente sul piano fisico e del lavoro “a freddo” le partite ravvicinate. Invece sul piano mentale le gare in sequenza possono offrire il vantaggio di non rimuginare troppo e di concentrarsi sul futuro.Nel complesso la squadra si è sempre applicata dimostrando carattere e capacità di reazione. Insomma quello che Bucchi predica da oltre due mesi sembra essere stato metabolizzato. Quella rabbia che tutti hanno manifestato a parole mercoledì a fine partita va trasformata in energia e cattiveria agonistica da applicare al prossimo match con il Lecco. Perché, al cospetto di un avversario che ha dimostrato solidità sotto la guida della vecchia conoscenza Mauro Zironelli, servirà sfoggiare una prestazione di sostanza. Per non finire nel tunnel basta poco. Ma bisogna farlo.
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