Cinema, tv e teatro

C’è un brutto vizio, nel modo in cui molto spesso si giudicano le cose: il fatto di partire prevenuti. Questo è il quasi inconcepibile peccato originale che ha accompagnato Paolo Sorrentino nelle settimane che hanno preceduto la prima stagione di “The Young Pope”. «Ma chi, quello de “La grande bellezza”? Quel film pesantissimo che non si sa come abbia vinto un premio Oscar?». Sì, proprio lui. Abile a ripetersi ancora una volta – e crediamo in maniera forse maggiormente roboante, rispetto alla sua pellicola del 2013 – con la storia su Pio XIII, conclusasi da poco su Sky Atlantic.

Partiamo subito da un presupposto bello chiaro: con “The Young Pope” non ci si ritrova davanti a un fantomatico mappazzone come (ancora una volta, in maniera ingiustificata) si è stati soliti definire il film più importante e conosciuto del regista del Vomero. Per tutti gli scettici, lo si capisce sin dai primi istanti della serie.  Perché c’è irriverenza, sarcasmo, voglia di rompere gli schemi: variabili abilmente shakerate, servite in un ambito dove non c’è il timore di essere dissacranti nel parlare di una Chiesa diversa. Ovvero quella che Lenny Belardo (interpretato da Jude Law) ha in mente di erigere nel corso del pontificato che lo vedrà protagonista. Un Papa nuovo, scelto da un conclave con un Deus Ex Machina come il cardinale Voiello (il nostro Silvio Orlando) che mescola gli “affari” da segretario di Stato alla sua fede incrollabile – forse anche più forte di quella verso il Signore – come tifoso del Napoli. Un pontefice giovane, fresco, in grado di dare maggior visibilità e lustro a un Vaticano caduto in depressione per bassa popolarità: almeno, questo è nei piani dei porporati. La realtà si rivelerà diametralmente opposta, con un “figliol prodigo” come successore di Pietro a divenire un problema più che una risorsa. Il classico sassolino in grado di incrinare i delicati e complessi ingranaggi della Chiesa di Roma.

“The Young Pope”, a nostro avviso, si dimostra un piccolo capolavoro. Sarà per gli attori (tra l’altro, ci siamo dimenticati di nominare Diane Keaton…), per una sceneggiatura o per una fotografia esemplare. Ma forse c’è qualcosa di più. E’ una serie tv in grado semplicemente di rapire, grazie alla personalità di ogni singolo personaggio. Ma parlare solamente di Pio XIII (e della bravura di Law) sarebbe sbagliato, perché il protagonista assoluto è solamente la punta dell’iceberg di una fiction quasi ricamata a mano, in maniera maniacale. Che, a pari passo con “Gomorra”, ancora una volta dimostra che il detto “Italians do it better” è straordinariamente vero, per quanto visto negli ultimi tempi sul piccolo schermo.

L’unica pecca? Le “sole” dieci puntate della prima stagione. Ma rallegriamoci: ci sarà quasi sicuramente un capitolo 2, con le riprese che dovrebbero iniziare nel 2018. Perché in fin dei conti, di Lenny ci siamo un po’ tutti innamorati per abbandonarlo così presto, no?

VOTO SANDRINO: 8,5

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Diciamoci la verità: la vita non è fatta solamente da sport, stadi, palazzetti, schiacciate aliene in reverse di Javonte Green e altre amenità biancorosse. C’è all’ascolto sicuramente più di qualcuno che – come il sottoscritto – in prima e seconda serata ama affondare sul proprio divano di casa e dedicarsi a una scorpacciata di serie tv, divenute nel corso degli ultimi anni sempre più una sorta di status-symbol dei giorni nostri. 

«Non conosci “The Walking Dead” o “Il trono di spade”? Allora sei uno sfigato». Ok, magari una cosa del genere non è proprio così grave, tuttavia piattaforme come Sky o Netflix ci stanno letteralmente “bombardando” con contenuti di altissima qualità. E per chi ha la possibilità di usufruirne, servirebbero giornate da 72 ore per poter seguire tutto.

In passato mi ero divertito a dare un mio personalissimo giudizio proprio sulle serie tv. E visto che alcune di quelle recensioni (come “I signori della fuga” e “Last Resort”) a distanza di anni attirano ancora l’interesse dei lettori provenienti da Google, i tempi sono sufficientemente maturi per tornare nuovamente a scrivere di questo particolare ambito.

In parole povere: attendetevi (molto presto) su questo blog una pioggia di voti su ciò che è maggiormente di tendenza sul piccolo schermo.

A partire da un certo Lenny Belardo… 😉

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Riversare sul piccolo schermo un best-seller assoluto come quello di Roberto Saviano, un romanzo da più di due milioni di copie vendute solo in Italia, era la più naturale conseguenza dovuta al successo mondiale di “Gomorra”. Ma trasposizioni di questo tipo rischiano, a volte, di collimare su se stesse. Proprio sulle stesse fortune che hanno portato un’idea editoriale coraggiosa – come quella di Saviano, che di fatto ne ha profondamente cambiato l’esistenza – a essere un fenomeno planetario: “Gomorra – la serie” non corre affatto questo rischio.

In una Napoli dei giorni nostri, descritta e raffigurata a tinte fortissime, la guerra tra il clan di Salvatore Conte (Marco Palvetti) e di quello dei Savastano, comandato dal boss Pietro (interpretato da Fortunato Cerlino) subisce un sussulto quando quest’ultimo finisce in carcere e forzatamente è costretto a passare lo scettro agli altri componenti della propria famiglia. La moglie Imma (Maria Pia Calzone) e il figlio Genny (Salvatore Esposito) saranno a loro volta gli artefici di un cambiamento che porterà a pericolosi dissidi interni, tra tutti quello di Ciro Di Marzio (Marco D’Amore), fidato braccio destro di Pietro Savastano che diventerà la miccia per una nuova, tremenda guerra tra bande rivali.

“Gomorra – la serie” (trasmessa da Sky Atlantic, prossimamente in chiaro su LA7 e venduta già a una cinquantina abbondante di paesi stranieri) non ha bisogno di paraventi per nascondere la violenza e la crudezza con cui le tematiche vengono trattate. Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini – i tre registi che si sono alternati dietro la macchina da presa – hanno dipinto i singoli protagonisti e personaggi per quello che sono, senza stereotipi: di fatto, non c’è spazio nemmeno per una briciola di buonismo o di umanità. Non esistono amicizie o affetti di alcun tipo: esiste solo la ferma e incontrovertibile lealtà per il proprio clan, nulla altro.

Il “pugno allo stomaco” che arriva allo spettatore è di quelli forti: l’identikit del capoluogo partenopeo e dei suoi angoli più oscuri è quello che gli autori stessi hanno volutamente conservare nei confronti della fredda realtà. Sia nel libro di Saviano che nella serie TV, non c’è spazio per romanticismi o prese di posizione su eventuali elementi “benevoli”: semmai, proprio l’esatto contrario. Il che non vuol dire che il tutto sia solo per confermare l’idea dell’immaginario collettivo di un mondo che conosce Napoli solo per la Camorra (e che, a detta di molti detrattori, è l’unico vero senso della serie). Ma di farlo senza censura, per quello che realmente è: non per idolatrare puramente la criminalità organizzata, ma per descriverne i comportamenti e le azioni che percuotono le fondamenta di un intero sistema.

Doveva essere un capolavoro preannunciato e lo è diventato, puntata dopo puntata: “Gomorra – la serie”, acclamato ben prima della messa in onda, convince su tutti i fronti. Il sospiro di sollievo, da parte di chi ha seguito i primi 12 episodi, arriva al termine della prima stagione: ce ne sarà una seconda, già in lavorazione. Un motivo in più perché il piccolo “mito” di questa produzione made-in-Italy possa essere ancora ammirato. Sperabilmente molto a lungo.

 Voto Sandrino:  9.5

Stagione: 1
Episodi: 12
Anno: 2014
Canale Trasmesso: Sky Atlantic (Satellite)
Interpreti: Marco D’Amore, Fortunato Cerlino, Maria Pia Calzone, Salvatore Esposito, Marco Palvetti

httpvh://www.youtube.com/watch?v=FsMnW43n3AI

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Firenze e lo splendore dell’età rinascimentale: ovverosia, il momento storico dove le città più grandi erano veri e proprio stati, con i signori del luogo ad essere i regnanti. E’ questo lo scenario su cui si sviluppa “Da Vinci’s Demons”, nuova serie TV prodotta da David S.Goyer (già papà della sceneggiatura de “Il cavaliere oscuro”) e fortemente spinta dal canale Starz (nella fattispecie, quello che ha già prodotto le magnifiche stagioni di “Spartacus”).

Sotto la guida dei Medici, con Lorenzo il Magnifico (Elliot Cowan) a ergersi quale grande burattinaio della Signoria, un volto nuovo e brillante si fa strada lungo le vie della città gigliata: Leonardo Da Vinci (Tom Riley), brillante artista e scienziato, entra a far parte della stretta cerchia politica del tempo, diventando ben presto un alleato imprescindibile dei poteri forti fiorentini. Da una parte c’è la lotta contro il potere di Roma, acerrima nemica dei Medici, con Papa Sisto IV (James Faulkner) assistito dal sadico nipote Girolamo Riario (Blake Ritson) e interessato a nutrire bramosie espansionistiche verso la Toscana; dall’altra i detrattori interni della Signoria stessa, con Jacopo Pazzi (Michael Culkin) a voler guidare la congiura per impadronirsi di Firenze. In mezzo a una situazione politica “difficile”, con nemici interni ed esterni, il genio di Leonardo verrà in soccorso di Lorenzo, col quale avvierà un silente confronto amoroso a distanza per le…grazie di Lucrezia Donati (Laura Haddock), nobildonna che ben presto scoprirà la propria doppia natura proprio ai danni di entrambi gli spasimanti.

Il vero obiettivo di Da Vinci è però insito nella ricerca del “Libro delle Lamine”, un nebuloso testo che al proprio interno cela cupi segreti su un possibile legame del genio toscano alla setta esoterica dei Figli di Mitra: una sorta di passepartout che Leonardo cerca ardentemente al fine di scoprire qualcosa di più della sua stessa origine, in prima battuta per conoscere il destino della madre che lo abbandonò misteriosamente subito dopo la nascita. E, con buona approssimazione, per aprire le porte a uno stadio più elevato della conoscenza, il fine ultimo dell’intera esistenza dell’artista.

“Da Vinci’s Demons” è senza dubbio un prodotto interlocutorio, che nelle 8 puntate della stagione iniziale pone paradossalmente poco l’accento su quanto l’uomo-scienziato fu storicamente, andando invece a privileggiare ben altri connotati (primo tra tutti, uno spiccato romanticismo che trasuda da tutti i pori leonardiani). Il tutto rischia però di diventare un’accozaglia di concetti che, nella sostanziale brevità della prima serie, mina alla credibilità di un’ipotetica rivisitazione storica degli eventi: Da Vinci così diventa abile spadaccino, amante provetto e archeologo stile Indiana Jones. Tre in uno, in uno screenplay dove si punta a utilizzare parecchie “licenze poetiche” pur di rendere spettacolare un genio che, senza tali connotati, poteva sembrare fine a se stesso.

Il risultato finale porta a “rimandare parzialmente a settembre” questa serie, da una parte godibile se presa con la giusta leggerezza, dall’altra un pò indigesta ai puristi della realtà storica assoluta  o a quelli che avrebbero preferito un plot più lineare. Ad ogni modo, lo spettatore deve essere conscio che l’ideatore di “Da Vinci’s Demons” aveva prima disegnato cinematograficamente la maschera con le orecchie appuntite di Batman: l’interrogativo se dare o meno un’ulteriore possibilità anche a future stagioni alla corte dei Medici passa proprio da questo punto fermo.

 

VOTO SANDRINO: 6,5

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Stagione: 1
Episodi: 8
Anno: 2013
Canale trasmesso: FOX (Satellite)
Interpreti: Tom Riley, Elliot Cowan, Laura Haddock, Michael Culkin, Blake Ritson, James Faulkner

httpvh://www.youtube.com/watch?v=vgg9nnALFGA&list=UUKy1dAqELo0zrOtPkf0eTMw&feature=player_detailpage

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Briarcliff: un luogo tetro e pieno di cupi misteri del passato. Lo scopriranno sulla propria pelle Leo (interpretato da Adam Levine, vocalist dei Maroon 5) e Teresa, coppia di sposini in cerca di emozioni forti. Visitare l’ex ospedale psichiatrico sarà un’avventura…irripetibile per i due, poichè in passato quelle mura hanno visto e sentito cose tutt’altro che piacevoli.

E’ questo il prologo di “American Horror Story Asylum”, serie TV ideata dal duo “malefico” composto da Ryan Murphy e Brad Falchuk: l’incubo di Leo e Teresa è solo la punta dell’iceberg di un enorme flash-back, all’interno del quale lo spettatore viene catapultato nel 1964, con il manicomio diretto dalla ferrea suor Jude (della quale ne veste i panni la sempreverde Jessica Lange, che più invecchia e più diventa come il vino buono) stracolmo di persone…bizzarre.

CAST AL LIMITE DELLA PERFEZIONE – Sono tanti i protagonisti delle storie contenute nello screenplay di stagione: il giovane Kit Walker (Evan Peters) risucchiato nel vortice di Briarcliff dopo l’accusa di essere “Bloody Face”, un serial-killer che strappa la pelle di dosso dalle proprie vittime; la giornalista Lana Winters (Sarah Paulson) che per avere un’intervista esclusiva al presunto pluri-omicida finirà anch’essa tra gli ospiti dell’ospedale psichiatrico; il dottor Oliver Thredson (Zachary Quinto), psichiatra che sembra essere l’unico ad avere a cuore i problemi dei pazienti; suor Mary Eunice (Lily Rabe), costantemente all’ombra di suor Jude; il monsignor Timothy Howard (Joseph Fiennes), a capo della struttura e con parecchia (apparente) carità cristiana; infine, il dottor Arthur Arden (James Cromwell), medico con un lugubre passato alle spalle e con un’ altrettanto lugubre fama all’interno dell’istituto.

PAZZIA…AD HOC – Un mix di sadismo e horror pervade le 13 puntate di “Asylum”, sapientemente interpretate da un cast di assoluto spessore (in gran parte riconfermato dopo la 1° serie) che ha nel proprio DNA la capacità di non dare alcun punto di riferimento, relativamente alla propria innocenza (o colpevolezza) all’interno della storia.

L’abilità degli autori di trasformare le vittime in carnefici (e viceversa) dà la consapevolezza di come ottimamente sia strutturato l’intero plot della 2° stagione di “American Horror Story” che, dopo le vicissitudini del primo capitolo nell’interno della casa maledetta di Los Angeles, sposta il proprio baricentro nel Massachusetts. L’istituto di Briarcliff è il centro delle perversioni e delle visioni demoniache che, dal passato, si ripresentano poi nell’attuale presente: tutti i personaggi sono legati da un filo comune, invisibile in prima battuta ma via via sempre più chiaro e indissolubile. Non si può che rimanere basiti nel veder scorrere una storia gustosissima, dal primo all’ultimo episodio, che fa dell’imprevedibilità degli eventi una delle chiavi del proprio successo.

LA MIGLIOR SERIE DELL’ANNO? – Non ci sono dubbi di sorta nel decretare “American Horror Story Asylum” uno dei migliori prodotti apparsi negli ultimi mesi sul piccolo schermo. Il duo Murphy-Falchuk colpisce nuovamente nel segno con una trama entusiasmante, con personaggi splendidamente ambigui e dotati di una carica emotiva esplosiva: le situazioni di Briarcliff trascinano lo spettatore nella famelica ricerca di saperne qualcosa di più, di puntata in puntata.  Il tutto immerso in un ambiente perverso ma mai “esagerato” nel raccontare la storia di suor Jude e compagni, e con la song-theme “Dominique” di contorno (canzone che il personaggio interpretato dalla Lange impone di ascoltare agli schizzati ospiti dell’istituto) diventata ben presto un tormentone da fischiettare.

Consigliare la visione di questa serie TV è assolutamente un must: potrebbe far storcere il naso agli spettatori più…tranquilli, ma se si è alla ricerca di qualcosa di forte e di politicamente scorretto, il manicomio criminale è uno degli scenari di perdizione più azzeccati degli ultimi anni.

VOTO SANDRINO: 9,5

httpvh://www.youtube.com/watch?v=-i2lv_VzDfo

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Stagione: 2
Episodi: 13
Anno: 2012-13
Canale trasmesso: FOX (Satellite)
Interpreti: Jessica Lange, Evan Peters, Sarah Paulson, Zachary Quinto,
Lily Rabe, Joseph Fiennes, James Cromwell, Adam Levine

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Il mondo continua a essere un inferno sulla Terra, gli zombies ormai sono i padroni indiscussi del pianeta e gli umani proseguono, quasi per inerzia, il loro continuo peregrinare per la propria incolumità. Ma, in fin dei conti, quanto senso ha continuare a sperare? Moltissimo, a dire il vero.

(ATTENZIONE, CONTIENE SPOILER….)

Al termine della 2° stagione avevamo abbandonato Rick Grimes, a capo di una decina scarsa sopravvissuti scappati da Atlanta, in fuga dalla fattoria di Hershel (unitosi al gruppo assieme alle due figlie), ormai invasa dagli infetti. “Non ci sarà più una democrazia”, fu il laconico commento dell’ex poliziotto diventato (ma solo apparentemente) più rigido verso chi lo continuerà a seguire nella lotta per la sopravvivenza. I problemi, però, non arriveranno dai conosciuti, bensì da chi incontreranno in corso d’opera…

Una nuova casa (ovvero, una prigione abbandonata), nuove figure da scoprire (in particolare quella di Michonne, la donna armata di katana che si porta dietro al guinzaglio due zombie senza mandibole e senza braccia), vecchie conoscenze perse per strada e poi ritrovate (Andrea, salvata proprio da Michonne dopo la fuga del gruppo dalla fattoria, ma anche quella di Merle, che proprio Rick abbandonò ammanettato sul tetto di un edificio di Atlanta nella prima serie, con parecchia voglia di rivalsa verso lo sceriffo…). E, soprattutto, un nuovo nemico da fronteggiare, ovverosia quel Philip (che tutti conoscono come “Il Governatore”) che poca intenzione dimostra nel rimanere quieto e tranquillo all’interno della sua Woodbury, una sorta di piccolo paradiso dove alcuni fortunati si sono trincerati per tenersi a debita distanza dai morti viventi.

Nessuno è al sicuro, in questo mondo dove i sopravvissuti hanno visto l’Apocalisse in prima persona, vivendola poi sulla propria pelle ogni giorno che passa. Nè dagli zombies, nè da chi di umano ha molto poco dentro di sè: “The Walking Dead”, alla sua 3°stagione, rafforza questi concetti nell’io dello spettatore. E lo fa con l’unica arma che i “buoni” hanno a propria disposizione: il sentimento umano, qualcosa che i non-morti non possiedono più per ovvi motivi, qualcosa che proprio in questi 16 episodi è una variabile che prende il sopravvento rispetto alla mera lotta.

Paradossalmente la linea scelta da Robert Kirkman non è quella, ben più semplice, dello splatter nudo e crudo come lo screenplay imporrebbe: ma il dolore, la costante forte della serie, misto appunto a una flebile speranza nella nascita di una nuova vita (pensiamo alla piccola “spacca-culi”, come Daryl affettuosamente la definirà all’indomani della sua venuta al mondo) o alla conferma di un amore nato quasi per caso (quello tra Glenn e Maggie) dà quasi una sorta di effetto-placebo al dramma umano vissuto con la perdita di altri protagonisti storici di TWD: T-Dog, Lori, Merle e (ultima, sicuramente non per importanza) la figura controversa di Andrea. Quest’ultimo è un segnale di come nessuno viva in eterno, nemmeno si tratti di personaggi importanti su cui la storyline delle prime stagioni ha basato situazioni importanti via via sviluppate in corso d’opera.

“The Walking Dead” si dimostra, nell’attuale annovero delle serie TV trasmesse, quella maggiormente in grado di emozionare e di far riflettere sulle (difficili) scelte intraprese dai protagonisti. I “se” e i “ma” si sprecano nella terza serie targata AMC, soprattutto dopo un’ultima puntata dove incredibilmente ci sono pochi fuochi d’artificio sparati: ci si aspetteva una guerra con tutti i crismi tra fazioni umane diverse, alla fine la montagna partorisce soltanto il più classico dei topolini con un gruppo (quello di Rick) sensibilmente cresciuto di numero e con l’altro (quello del Governatore) spazzato via dalla furia del proprio “despota”. E’ da qui che si nota quante poche assonanze ci siano con il finale della 2° stagione, quando l’azione pura la fece da padrona: una piccola rottura di schemi che molti fan della serie hanno (almeno a caldo) bocciato in maniera netta.

E’ innegabile che un senso di vuoto e disorientamento pervada lo spettatore al termine di questa season, recensore compreso: non è che però, tutto sommato,  i produttori abbiano proprio voluto trasmettere questa sensazione, per prepararci in maniera completamente diversa a ciò che ci aspetta a partire da ottobre 2013 (data d’inizio della futura 4°serie)?

L’idea di base, per un giudizio definitivo, si deve dunque concentrare sul concetto che il numero di emozioni che fanno saltare sul divano superi di gran lunga i mugugni di un finale che è piaciuto a pochi: è evidente dunque che “The Walking Dead” continui ad elevarsi sempre all’ennesima potenza, all’interno di un concept ormai rodato che ha ancora parecchia vita davanti a sè. Per fortuna, aggiungiamo…

VOTO SANDRINO: 8,5

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Stagione: 3
Episodi: 16
Anno: 2012-13
Canale trasmesso: FOX
Interpreti: Andrew Lincoln, Sarah Wayne Callies, Laurie Holden, Norman Reedus,
Michael Rooker, David Morrissey, Danai Gurira, Lauren Cohan, Steven Yeun, Chandler Riggs

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Come ti stravolgo la vita in un minuto; e un apparente dramma esistenziale si trasforma in una manna venuta dal cielo.

La vita di un quarantenne sciupa femmine, superficiale ed egocentrico (Raoul Bova) che lavora per una ditta che si occupa di promuovere prodotti inserendoli all’interno dei film e vive insieme al suo amico di sempre (Edoardo Leo che è tra l’altro regista e sceneggiatore) viene sconvolta dall’improvvisa comparsa di sua figlia (la giovanissima Rosabell Laurenti Sellers già vista in “Femmine contro Maschi”) nata diciassette anni prima a sua insaputa durante un rapporto di una notte d’estate. La ragazza, persa la madre, inizia a bordo di un camper vintage la ricerca del padre accompagnata dal nonno (Marco Giallini presente tra l’altro nei film di Carlo Verdone, tra tutti ricordiamo “Io, loro e Lara” e “Posti in piedi in paradiso”) ex rocker leader dei “Giaguari”, gruppo rock anni sessanta. Aggiungiamoci poi la bella professoressa di cui innamorarsi (Nicole Grimaudo che qualcuno forse ricorderà in “Baarìa” di Tornatore) e la classica commedia romantica è bella che fatta.

Se la trama è banale e scontata, lo sviluppo risulta pieno di spunti di riflessione alternati a momenti di sano divertimento; si passa dall’analisi del rapporto padre – figlia, alla descrizione degli ambienti pseudo – bene in cui le mamme incoraggiano le proprie figlie a concedersi per ottenere un provino, dal mantenimento nostalgico di un ego fanciullesco e spensierato che fa rincorrere i propri sogni nel cassetto “prima che facciano la muffa” alla conversione di uno sciupa femmine egocentrico in un romantico e fedele dongiovanni.

Il film scorre rapido e spensierato mantenendo sullo sfondo la metafora della corsa che con la staffetta diventa sinonimo di ottenimento di un risultato solo con lavoro di gruppo.

Per i nostalgici le citazioni di diversi gruppi in voga negli anni 60 in Italia è molto ben riuscita; una chicca per gli amanti del genere la disamina degli inserimenti veri o presunti di prodotti commerciali all’interno di alcuni film di Kubrick; e per chi come me è sensibile all’argomento non potrà sfuggire la difesa con convincenti argomentazioni della fotografia tradizionale a discapito di quella digitale.

Voto : 6,5

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Feroci (e schizzati) criminali evadono dalle proprie celle di massima sicurezza, all’interno del suolo americano. Chi può dare una mano a riacciuffarli…entrando nel loro stesso modo di agire e di pensare? Solamente chi ne condivide la poco invidiabile condizione di carcerati.

Lo sceriffo federale Charlie Duchamp (Laz Alonso), assieme all’agente “senza distintivo” Ray Zancanelli (Domenick Lombardozzi), forma una squadra molto speciale composta da un ex-malavitoso (Malcom Goodwin), da un brillante e intelligente psicologo col vizio del gioco (Jimmi Simpson) e da una sensuale cacciatrice di taglie (Serinda Swan): tutti e tre finiti in gabbia per motivi diversi e con parecchi anni ancora da scontare, prima di poter rivedere la luce del sole come persone libere.

Il patto è semplice: a ogni evaso catturato assieme agli U.S.Marshall, il trio si vedrà condonare un mese di detenzione; se solo uno dei tre elementi deciderà di fare il furbo, la loro pena detentiva verrà raddoppiata. In mezzo a situazioni difficili, e assieme al contributo dell’esperta informatica Juliane Simms (Brooke Nevine), la squadra funzionerà alla grande: anche se un episodio grave, annesso al gesto di un folle anch’esso evaso dalla prigione e con sete di vendetta verso un componente del gruppo,  ne comprometterà la stabilità della stessa…

“I signori della fuga” (o “Breakout Kings”, come da titolo coniato negli States) può essere considerato come il fratellino minore del ben più acclamato “Prison Break”.  Specie sul lato “fake-villains”, il prodotto funziona: i tre carcerati protagonisti divertono e convincono nell’interpretazione (in particolare Jimmi Simpson, che spesso oscura con la propria bravura gli altri due compagni di fughe), non si può dire la stessa medesima cosa sui tutori della legge, che rimangono spesso stereotipati nel ruolo ad essi assegnato.

In generale “I signori della fuga” è un ottimo diversivo, tra le serie TV dell’ultimo periodo, che scorre velocemente senza il bisogno  di soffermarsi troppo su quanto accade di contorno. Tanta azione e qualche piccolo momento “buffo” rende  gradevole lo scenario proposto dagli ideatori Nick Santora e Matt Olmstead: il crescendo di emozioni nell’ultima parte della seconda stagione ha la capacità di riuscire a tenere incollato lo spettatore verso il piccolo schermo.Il tutto però cade fragorosamente appena si viene a sapere che non ci sarà un proseguimento della serie, “ghigliottinata” per i bassi ascolti.

Il classico esempio di come talvolta è meglio non affezionarsi troppo a certi personaggi, visto che poi non sarà più possibile rivederli in azione…

VOTO SANDRINO: 7+

Stagioni: 2
Anno: 2011-2013
Interpreti: Laz Alonso, Brooke Nevin, Domenick Lombardozzi, Malcolm Goodwin, Serinda Swan, Jimmi Simpson
Canale trasmesso
: FOX

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Freghiamocene pure del Proibizionismo e di tutto quello che ne comporta: è questo il pensiero che pervade la testa di Enoch “Nucky” Thompson, tesoriere di Atlantic City negli anni successivi alla Grande Guerra. La sete di potere lo porta a comandare una grossa fetta della criminalità del New Jersey, diventando a pieno titolo un boss della malavita camuffato sotto l’egida della bontà d’animo verso il prossimo, dote apprezzata da buona parte dei propri concittadini.
La conoscenza fatta con Margaret Schroeder, i rapporti di amore-odio con il giovane James Harmody (suo protetto) e una situazione sempre più calda nel Boardwalk vedranno “Nucky” protagonista indiscusso di un susseguirsi continuo di eventi tutt’altro che tranquilli, per sè e per i (pochi) affetti più cari.

Già spulciando la lista dei produttori della serie (tra gli altri, il grande Martin Scorsese e il brillante attore Mark Wahlberg), “Boardwalk Empire” non può che essere definito un prodotto eccellente per come disegna, a tinte chiarissime, l’America ai tempi di Al Capone & friends. E’ innegabile che il talento sopraffino del “tesoriere” Steve Buscemi spinga inconsciamente tutti gli altri attori a superarsi nel tener testa all’ex-Iena di Tarantiniana memoria: il risultato che ne consegue è di una serie quasi perfetta, immersa tra pistolettate, contrabbando di alcolici, Ku Klux Klan in piena attività e amori tormentati di contorno.

Il successo delle prime due stagioni (che ne hanno oltretutto visto l’attribuzione di due Golden Globe e di una mezza dozzina abbondante di premi Emmy) nonchè il rinnovo per almeno un’altro paio di esse – di cui la terza partirà venerdì 22 febbraio su Sky Cinema 1 – , sono variabili che sottolineano come “Boardwalk Empire” si ponga di diritto sul gradino più alto del podio, ben sopra l’asticella della stragrande maggioranze delle serie TV apparse sul piccolo schermo negli ultimi anni.

Un piccolo capolavoro, che con buona probabilità vedrà continuare la propria “Golden Age” ancora a lungo.

VOTO SANDRINO: 9

Stagioni: 1-2
Anno: 2010-2012
Interpreti: Steve Buscemi, Kelly Macdonald, Michael Pitt, Shea Whigham
Canale trasmesso: Sky Cinema 1 – Rai 4

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Come ti risolvo i casi apparentemente impossibili, grazie agli amici “immaginari”? Chiedetelo al dottor Daniel Pierce: un brillante ed estroverso docente universitario (nonchè grande esperto di neuroscienze) viene contattato da una sua ex-studentessa, Kate Moretti. La giovane, ora agente speciale dell’FBI, trascina il luminare in una serie di indagini per omicidio, sfruttando le percezioni di Daniel. Il tutto però non sapendo che il dottor Pierce nasconde un passato oscuro fatto da schizofrenia acuta, e un presente fatto da persone immaginarie che lo aiutano a dipanare la matassa degli enigmi investigativi…

“Perception” rompe un pò gli schemi delle serie TV fatte da crimini e detective: la storia dell’eccentrico professore semi-pazzo, interpretato dall’eccellente Eric McCormack già visto in “Will & Grace”, riesce sin da subito a mettere lo spettatore a proprio agio e a dare la benefica sensazione di non assistere a qualcosa di già canonizzato in passato. Lo “sviluppo” del personaggio del dottor Daniel Pierce, è sicuramente la parte migliore della 1° stagione, che grazie alla sua forza tende però a rendere un pò più piccoli tutti gli altri protagonisti che ruotano attorno a esso: a ogni modo, i primi 10 episodi di “Perception” si lasciano assolutamente gustare e rappresentano una bella sorpresa dell’attuale stagione in programma su Fox, con la serie che fortunatamente vedrà una “Season 2” nel corso del 2013.

In fin dei conti, un individuo che ascolta musica classica con un vecchio walkman, atteggiandosi da simpatico schizzato e ragionando con i fantasmi del proprio cervello, già per questo può essere motivo di interesse…

VOTO SANDRINO: 8

Stagione: 1
Episodi: 10
Anno: 2012
Interpreti: Eric McCormack, Rachael Leigh Cook, Arjay Smith, Kelly Rowan
Canale trasmesso
: Fox (Sky)

QUI SE NE PARLA SUL FORUM -> http://www.elsitodesandro.it/invboard/index.php?showtopic=13557

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